Nell’inizio di ottobre 2005 ricevetti una telefonata dalla sezione di collegamenti culturali e scientifici del ministero degli esteri israeliano in cui mi chiedevano se mi era possibile fare le valigie nel giro di tre settimane, partire da Gerusalemme ed andare in Italia per salvare gli studenti delle università di Ravenna e Bologna rimasti senza insegnante di ebraico. Tre giorni mi sarebbero bastati, ma all’amministrazione universitaria nemmeno tre mesi furono sufficienti e solo a metà febbraio venni in Italia. Potevo portare solo venti chili nel mio zaino ed esitavo su cosa aggiungere allo spazzolino da denti ed al fazzoletto (i libri erano stati inviati con la posta. Se e come arrivarono è un’altra storia). Mi chiedevo se avrei potuto approfittare del mio soggiorno in Italia per un’attività musicale, e così facendo una ricerca su “google” arrivai ad una fotografia incantevole ed a un indirizzo “I Mandolinisti Bolognesi”. Inserire un mandolino nello zaino? Inoltre i suonatori nei completi eleganti mi sembravano estremamente professionali. Cosa gli scriverò? Che giocavo col mandolino di mia mamma (fino agli anni Sessanta c’era nel mio villaggio, come in altri villaggi, un’orchestra di strumenti a pizzico in cui suonavano mia mamma, mio fratello, mio zio e mia zia)? Che non avevo mai suonato in un’orchestra e avrei voluto provare?
Persino il nome complicato della direttrice, Maria Cleofe Miotti, che conoscevo dai dischi, mi terrorizzava (dopo mi accorsi che “Cleo” bastava per la comunicazione basica, e che era molto carina). mi buttai e scrissi una lettera. Meravigliosamente (fenomeno molto raro nella mia corrispondenza con l’Italia) ricevetti una risposta. Una lettera molto amabile mi avvisò che mi aspettavano, senza audizione e senza condizioni anticipate. Dal primo momento trovai amicizia, un repertorio bello ed interessante, suonatori abbastanza bravi per godere suonare la musica, ma non troppo professionali per la buona amicizia.
Nel frattempo scoprii che avevamo un’orchestra gemellata a Parma ed un cantante napoletano fantastico: Gianfranco Tarsitano, ed insieme suonammo in tre concerti: due a Bologna (Oratorio San Filippo Neri) ed uno nella pineta di Cervia. Prima della Pentecoste ebraica cadde il primo anniversario del giorno in cui si suicidò mia mamma. Nella cerchia intima ed amichevole dei suonatori raccontai l’avvenimento e suonai la ninna-nanna che lei mi cantava prima di tornare alla mungitura notturna. Mi chiesero di farne una versione per l’orchestra. Trovai una versione per voce e pianoforte scritta nel ghetto/campo di concentramento di Terezìn (tedesco: Theresienstadt) nel 1943 dal giovane Gideon Klein (ucciso nel 1945). La sua versione servì come base per la nostra per strumenti a pizzico, e venne incorporata nel repertorio del nostro concerto natalizio (anch’esso nell’Oratorio San Filippo Neri) con la scusa che anche Maria cantava a suo figlio ninna-nanne ebraiche... L’integrazione della ninna-nanna nel programma è un’altra prova dell’amicizia dell’orchestra, per la quale sono molto grato.
Amnòn
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