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martedì 11 marzo 2008

Intervista

Mandolino ingrato
di Roberto Iovino
«Il mandolino viene spesso definito uno strumento ingrato. Richiede un grande studio che non appaga. È apparentemente facile come approccio, ma suonarlo davvero bene richiede una notevole fatica. Io, per farmi coraggio, sostengo che Paganini si è accostato alla musica studiando il mandolino con il padre, poi è passato al violino perché lo trovava troppo difficile!»: Carlo Aonzo parla così del suo strumento. Savonese, quarantenne, Aonzo ha studiato con il padre prima di diplomarsi al Conservatorio di Padova:

«Ho il mandolino nel dna, sono cresciuto con il suo suono. E debbo questo amore a mio padre. Mandolinista appassionato, è stato il fondatore, molti anni fa del Circolo Mandolinistico “G.Verdi classe 1913”. Il nome voleva essere un riconoscimento a Giuseppe Verdi che si è sempre sentito legato al mandolino (per il quale ha scritto varie pagine) e che era presidente onorario del Circolo di Milano». 

Lo studio in famiglia, tuttavia, non è stato per Carlo Aonzo né immediato, né facile: il padre, infatti, era inizialmente restio a dargli lezioni, forse, inconsciamente, non voleva che il figlio proseguisse sulla sua strada:

«Dal momento che io avevo deciso, presi l’iniziativa: con alcuni amici, appassionati come me, creai una specie di scuola di musica e obbligai mio padre a venire. In qualche modo lo costringemmo a farci da maestro e venne su un gruppo di mandolinisti! Nel ’78 poi, insieme, abbiamo ricostituito il Circolo che con la guerra si era in pratica sciolto».

Lei è strumentista, ma anche storico e ricercatore intorno al Suo strumento…

«Il mandolino ha una storia affascinante. Le sue origini sono nobili. Basta ricordare che fra i compositori che hanno scritto per lui figurano Vivaldi, Mozart, Beethoven, Mahler, Schönberg. In epoca più recente, da noi, lo si è visto riduttivamente come uno strumento solo popolare, per il folk. Ma il mandolino non è unicamente quello. Certo indagare sulle sue radici non è facile anche per una certa confusione terminologica. Nel ‘300 ad esempio lo si chiamava chitarra. Si dice che sia derivato dal liuto, in realtà i progenitori dei due strumenti avevano funzioni diverse, quindi si tratta di due famiglie separate».

Suona un mandolino d’epoca?

«No: utilizzo un Pandini del 1994. Oggi ci sono molti liutai emergenti, accanto a qualche nome storico, penso ad esempio ai Calace di Napoli. Anche Stradivari costruì mandolini, anche se in generale la liuteria di Cremona se ne è occupata in maniera marginale». 

Si sta assistendo in questi ultimi anni a una rinascita di interesse intorno al mandolino…

«In effetti, si avverte un grande fermento, soprattutto all’estero. Basta pensare che in Germania sono attive circa seicento orchestre di mandolini ed è stata creata una Federazione. In Giappone è stato anche realizzato un archivio online di musiche per mandolino italiano. Si registra insomma un’attenzione notevole che incoraggia lo studio e un approfondimento delle prassi esecutive».

A questo proposito, Lei ha recentemente creato un’Accademia internazionale a Savona…

«È nata due anni fa da una esigenza sentita a livello internazionale. Debbo fare alcune premesse. Intanto, non esiste una didattica mandolinistica diffusa. Il mandolino che si suona oggi è quello napoletano del Settecento. Come studioso mi sono interessato molto alla iconografia degli strumenti a pizzico, dalla quale si possono dedurre molti dati interessanti. Ad esempio, in un dipinto del 1758 si vede un nobile con il mandolino in mano e, davanti a lui, uno spartito musicale: si tratta di una Sonata di Corelli. E la presenza di una pagina corelliana induce a pensare che forse l’accordatura per quinte come il violino (in epoca precedente il mandolino era accordato per quarte) fu adottata proprio per poter suonare su uno strumento a pizzico la letteratura violinistica del tempo. Tutto questo per dire che intorno al mandolino si possono fare ancora molte indagini perché la sua storia e la sua evoluzione sono tutt’altro che chiariti. Tornando alla Accademia, mi è stato chiesto di crearla per consentire a strumentisti di tutto il mondo di riavvicinarsi alla tecnica italiana. Il mandolino si è diffuso ovunque, ma si è trasformato: esiste il mandolino americano, sudamericano, tedesco. Si sente la necessità di ristudiare il mandolino italiano secondo una tradizione».

Esiste anche un’orchestra giovanile europea…

«Sì, ne fanno parte strumentisti di vari Paesi e ogni anno viene convocata in una città diversa dove prova e poi tiene diversi concerti. Nel 2009 la sede sarà Savona».

Recentemente ha pubblicato un cd in duo con il chitarrista Katsumi Nagaoka…

«Con Katsumi abbiamo poco tempo fa compiuto una tournée in Giappone, dove, come ho detto prima, c’è grande interesse per questo tipo di letteratura musicale. Il cd si intitola Kaze (Vento) dal brano di Nagaoka che apre le incisioni. Tre movimenti nei quali l’autore offre altrettanti visioni del vento. E in questa ottica ci siamo divertiti a incidere brani di autori anche molto diversi partendo dall’idea che la musica attraversa il tempo sulle ali del vento».

I due artisti, in effetti, regalano una piacevole antologia di pagine varie: lavori propri (Kaze e Nuvole di Nagaoka, Ali per volare di Aonzo), brani del passato (su tutte Lascia ch’io pianga di Haendel e i delicati Notturni di Gragnani), titoli di epoca più recente (Serenata malinconica di Calace o il Concerto n.1 di Carlo Munier premiato al primo Concorso mandolinistico di Genova nel 1892). 


da "Il giornale della Musica"

 http://www.giornaledellamusica.it/cartaceo/articoli/home.php?a=2007/242/242_04.htm

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